martedì 7 febbraio 2012

Requiem per una caldaia

All’inizio faceva qualche capriccio, lasciandomi senz’acqua all’alba. Aveva freddo, ma bastava vezzeggiarla con qualche minuto di phon sparato caldo addosso per recuperare il getto bollente della doccia. Ma un mattino niente, non ha funzionato. Il tepore di quella lusinga non è più bastato. La sua fiamma si è spenta, impossibile da recuperare. Una goccia dietro l’altra, il tubo più esposto ha iniziato a perdere liquidi. All’inizio era uno zampillare lento, anche se costante, trasformato ben presto in un’emorragia inarrestabile. L’acqua si congela nell’istante stesso in cui entra in contatto con l’aria. La superficie del balcone diventa per prodigio una lastra perfetta di ghiaccio. E tale resterà, credo, fino a primavera.

In accappatoio, shampoo, bagnoschiuma e ciabatte percorro su e già la stessa via dedicata a un noto poeta italiano: in attesa del messia, il caldaista, vado a fare la doccia dai vicini.

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