domenica 13 novembre 2011

Due bottoni spaiati


Ci sono alcuni gradi sopra lo zero e il novembre torinese sta per il momento sonnecchiando, senza anticipare i freddi che pur saprà garantirci tra non molto. Questo per dire che ancora riesco a coprirmi con poco e il piumino adatto al rigore invernale lo tengo a portata di mano ma ancora non ho avuto bisogno di indossarlo. Però da qualche giorno è appeso qui, pronto all’uso.

Mentre lo tiravo fuori dall’angolo dove lo metto a riposare tra la primavera e l’estate mi sono accorta che ha due bottoni spaiati. Due bottoni che non c’entrano niente col resto e che fanno l’occhiolino da sotto al colletto. Chi siete? ho pensato. E poi mi è tornato in mente che a questo piumino mancano quei due bottoni. Mancano da tempo in realtà, persi chissà dove e sostituiti, un giorno, con altri due, simili ma non uguali. E ho pensato che erano divertenti quei due bottoni diversi, quasi tondi ma non proprio tondi, né lisci come gli altri, di un nero un po’ differente.

Sono due bottoni indipendenti, che talvolta rivendicano la loro autonomia e che minacciano periodicamente la secessione. Hanno il compito preciso e irrinunciabile di creare delle piccole fratture nella simmetria, nella regolare sequenza delle asole.

giovedì 3 novembre 2011

Cinque anni fa

Cinque anni fa mi sono laureata. Oggi mi prendete dunque così, a far dei bilanci che nemmeno a Capodanno. Anzi, è qualcosa di diverso, perché non sono i bilanci quelli che mi hanno preso la mano e portato su questo groviglio di parole proprio adesso. I bilanci arrivano dopo eventualmente e quando ricorrono i lustri ci stanno anche bene, ma non ora, perché quel che mi conduce adesso sono i ricordi. Tanto nitidi e perfetti da pensare che sia accaduto stamattina. Ricordo di quel giorno ogni dettaglio. Giornata di sole, ma fredda. Abito verde, stivali verdi, parigine nere, cappotto bianco. Arrivai prestissimo, in treno, con due ore di anticipo. Passai qualche tempo sul pianerottolo della scala antincendio della facoltà, a respirare benessere nell’aria limpida del giorno dei morti. Ricordo che mi veniva da ridere perché non mi mollava un motivetto di Tiziano Ferro che passava per radio quelle settimane. Avevo in tasca un biglietto per Roma, dove sarei rimasta nei giorni successivi, a regalarmi passeggiate solitarie lungo le mura di Castel Sant’Angelo. Poi scendo in sala lauree, prego si accomodi, cominci pure. Ho scritto 200 pagine sulla retorica della persuasione. Dura un’eternità, non mi mollano. Sento alle spalle una zia che sbuffa. Un vecchio professore biascica di figure retoriche innominabili. Poi finalmente finisce e si racconta che sia iniziato il resto della mia vita. Il che è falso, perché il resto della mia vita è iniziato quel giorno da bambina in cui ho imparato a scrivere. Ma questo magari lo racconto un’altra volta.