mercoledì 29 settembre 2010

Del perché le donne vanno in giro con due borse

Una donna che, per qualunque motivo, sia costretta a passare fuori casa l’intera giornata uscirà con due borse. O con una borsa molto grande. Fateci caso. Giovani studenti, affermate professioniste, timide pendolari, tutte, se ne vanno in giro tenendo a tracolla due sporte, di cui almeno una piuttosto capiente. La variante monoborsa prevede capienze architettonicamente impegnative, quasi dei container. Per questo io ne preferisco due: in una sola non ci starebbe tutto, oppure si perderebbe, e sarei costretta a ricerche imbarazzanti di mazzi di chiavi tra panini di ieri e biscotti sbriciolati. Per farvi capire vi parlo di me. Dunque, nelle mie borse oggi si trovano oggetti d’uso comune: chiavi, portafoglio, telefono, burro cacao, agenda, fazzoletti di carta. Oggetti da compagnia tipici del pendolare: libro, penne, matita, taccuino, ipod. Provviste e libagioni: crackers, cioccolato, acqua naturale, succo di frutta, un’insalata di mia invenzione prodotto di avanzi casalinghi (branzino al forno con pomodorini e mozzarella di bufala), yogurt, frutta. Varie ed eventuali: del moment, del potassio, un collirio monodose, un paio di occhiali, un tagliaunghie, un lipgloss, crema per le mani, specchietto, spazzolino e dentifricio con filo interdentale. Ora, credete davvero che potrei tenere tutte queste cose nella stessa borsa? Il problema maggiore secondo me è la presenza delle scorte alimentari. Sì, perché nelle borse delle donne si trova innanzitutto del cibo. Gli uomini ragionano diversamente, vanno al bar loro. Non ne ho mai visto uno uscire di casa con una mela o un’insalata di riso. Le donne invece sì. Desiderano avere questo tipo di generi di conforto. È uno dei motivi per cui di borse ne occorrono due: avete presente lo yogurt che si spatascia tra l’agenda e il telefonino? Ecco. Non ve lo auguro. Una volta mi si è aperta una crema solare dentro la borsa. Un’altra invece ho trovato un cioccolatino fuso. Era piccolo, ma i danni, anche emotivi, non si contano. Ho mantenuto la calma in virtù della mia totale incapacità di perdere il controllo, ma ho motivo di sospettare che sia questa la ragione per cui il mio organismo è facile preda di dannose forme di sublimazione.
Magari un giorno scrivo anche un pezzo sul perché le donne vanno in giro con due borse e non trovano mai quello che cercano. Anche se a me non succede.

mercoledì 22 settembre 2010

Rubrica: Ventricoli Epistolari/5

Cara mich,
scena da una doccia.
Allora, io capisco tutto. Capisco che tu sei un uomo e io una donna e che questo implica delle differenze di genere molto definite tra di noi. So che tu usi lo shampoo molto più spesso di me (non fosse che il tempo che impiego io ad asciugarli è circa 20 volte superiore al tuo). Capisco che spesso tu veda in primo piano il MIO shampoo, e sono sicura che non intacchi la tua virilità il fatto che il flacone sia rosa, con mille fiori e la scritta herbal essence. Davvero, lo capisco. Posso anche capire che tu possa finirlo il mio shampoo e davvero credimi, non ne farei mai un problema. Quello che non posso tollerare è che tu riempia il mio shampoo di acqua, per diluirlo e darmi l'impressione che ce ne sia ancora.
E tra l’altro, se sono 2 settimane che, in preda all'ossessione della piscina, mi lavo lì i capelli, 3 volte a settimana, fidati, non sono i miei capelli che intasano la doccia...

La tua amica Shampista


Carissima,
convivi eh? Lo so. E’ dura. Ti trovi all’improvviso a dividere gli spazi, gli accessori e i cosmetici con un bipede di sesso maschile che alterna i sorrisi che ti hanno fatto innamorare a improbabili maglioni infeltriti. Una sera torni e lo trovi sulla porta con un fascio di fiori per te, la sera dopo rincasi e grugnisce un saluto sollevando con fastidio lo sguardo dalla Play. Ci son persino giorni in cui si trasforma inesorabilmente in un 13enne che riempie d’acqua il flacone del tuo shampoo, quando potrebbe essere tanto carino da fare un isolato fino al minimarket e ricomprartelo. La soluzione, ma applicabile solo in appartamenti di particolare ampiezza, è il doppio bagno, con rigorosa divisione dei saponi e dei dentifrici. Ma io, che è già tanto se ne ho uno, non mi sento di garantire che funzioni: è anzi possibile che, nel suo bagno, una volta finito il suo bagnoschiuma, invece di includerlo nella spesa decida di prendere in prestito il tuo. Il problema non è di poco conto: è su queste piccole dinamiche che stanno in piedi relazioni che sfidano i lustri.
Per contrappasso potresti usare la sua lametta per la barba per depilarti le ascelle. Oppure riempire il tuo shampoo con un mix variopinto di peperoncino e verderame e vedere che succede.

Voi che dite?

giovedì 16 settembre 2010

Questione di Herpes

L’autunno è la stagione degli alibi. In realtà, in apparenza, è la stagione dei buoni propositi, l’inizio dell’anno umorale, il periodo in cui facciamo la lista delle cose utili, buone e giuste che dovremmo proprio fare. Ma questo, appunto, solo apparentemente. Perché ad ogni buon proposito, in genere, segue un alibi per non portarlo a termine. L’autunno, con i suoi grigi, la sua mollezza, la sua quiete di foglie cadenti, è la stagione migliore a produrseli questi alibi e la creatività delle mie scusanti a volte stupisce persino me stessa.

L’estro delle mie giustificazioni trova il suo naturale compimento nelle malattie psicosomatiche di cui, come sapete, sono allegra portatrice. Devo aver somatizzato l’ingerenza di certe inconcludenze, non so. Fatto sta che ho notato sotto al seno destro un piccolo nugolo di puntini rossi. Piccoli. Pruriginosi. Il secondo giorno i puntini si sono fatti bollicine e ne erano comparsi, uguali uguali, anche nel bel mezzo della schiena. Un cerchietto. Come un’impronta felina tra le vertebre. Abituata come sono al fatalismo, ho pensato che se di qualcosa dovevo morire, morir di puntini rossi non era nemmeno tanto male. Il prurito, però, si è evoluto: il terzo giorno era diventato bruciore. Ma un bruciore che non assomigliava ad altri bruciori provati fin lì. Sentivo come una scottatura sotto la pelle, localizzata nelle bolle, che di per sé non erano aumentate di numero, ma reclamavano attenzione sottolineando dolorosamente la loro presenza. Quando il senso di fuoco sottocutaneo ha iniziato a svegliarmi la notte ho pensato che va bene il fatalismo ma forse un medico lo dovevo vedere.


Il mio dottore è in vacanza, ho trovato un sostituto. Si è laureato da dieci minuti, ma io non voglio aver pregiudizi:

- Buongiorno dottore
- Buongiorno, mi dica
- Da qualche giorno ho delle bollicine piuttosto dolorose in due punti sul corpo: in mezzo alla schiena e qui, sotto al seno destro
- Mi faccia vedere, si spogli
Sfilo la maglietta, slaccio il reggiseno e resto lì, con le mie bolle a vista. Su cosa stesse guardando il dottorino non intendo fare illazioni, anche perché il mio florido seno, che in termini di prosperità ricorda molto da vicino quello di un ragazzino di nove anni, non è di norma oggetto di sguardi lascivi. Il medico poggia un dito, controlla linfonodi, si avvicina con dubbio e sentenzia:
- Eczema allergico. Ha mangiato qualcosa di particolare recentemente?
- No
- Ha cambiato bagno schiuma? Detersivo?
- No
- Ha usato cosmetici o creme nuove?
- No. Non sono mai stata allergica a niente in vita mia
- Non importa. Allergici si può diventare. Metta questa per 4-5 giorni e vedrà che le passa.
Acquisto apposita pomata al cortisone e inizio l’applicazione. Dopo mezza giornata le bollicine scoppiano di salute, crescono rigogliose, esplodono di vitalità. E mi fanno un male cane. È un bruciore che parte da dentro, non pizzica la superficie dell’epidermide, si annida proprio sotto e scava la carne in profondità. Ho improvvise fitte da falciarmi il respiro e svegliarmi la notte. Continuo con il cortisone: cura tutto il cortisone, possibile che non faccia niente per questo dolore che mi morde da dentro? Dopo una settimana, ridotta alle lacrime, ma anche in preda a convulse risate isteriche di fronte alle bolle evolutesi in croste, alle 10 di sera, mi decido per la guardia medica, servizio notturno.
Mi accomodo, descrivo il male e la cura. Il medico mi guarda, controlla, sorride e dice:
- Lei ci ha davvero messo il cortisone qui sopra?
- Come mi è stato prescritto …
- Si tratta di un herpes (e ride, che cosa avrà mai da ridere). Se lei dà il cortisone a un herpes è come dargli da mangiare
- In che senso un herpes?
- Herpes zoster

Anche conosciuto come Fuoco di Sant'Antonio. L'indicatissima denominazione pare abbia origine medievale: il Fuoco di Sant’Antonio è una forma di penitenza e di purificazione. Mi sfuggono i contorni, ma qualcosa devo aver combinato. E ora mi tocca espiare. Clinicamente si trattai di un rigurgito di varicella, solo molto molto peggio. Non è contagioso, se si esclude la possibilità di diffondere, appunto, la varicella. Quale miglior alibi per mettere in pausa tutti i buoni propositi accumulati nelle ultime settimane? Antonio e il suo Fuoco esigono attenzioni ed energie che dovrò di necessità sottrarre altrove. Comunque, va da sé che io non ci penso nemmeno alla quarantena. E me ne vado in giro come un untore.


lunedì 13 settembre 2010

Sono stata io

Ho fatto un piccolo esame di coscienza. Una verifica della mia vita da condomina e ho capito che sì, ho fatto cose discutibili anch’io. Lo confesso in mondovisione: ero io, sono stata io. Ho verificato, con calma e perizia, di aver compiuto, tra le due e le settanta volte e in perfetta malafede, tutte le seguenti aberrazioni del vivere civile:

- ho ascoltato Viva Radio 2 alle 7 del mattino a volume da nightclubbing

- ho cucinato peperonata alle 10 della domenica mattina, diffondendo aroma di soffritto per tutta la scala B

- viene dal mio bagno la macchia d’umido sul soffitto di quello del piano di sotto, nonostante io mi ostini a negare l’evidenza architettonica della disposizione dei vani

- lascio regolarmente strisciate di ruote di bicicletta sulle pareti della cantina

- passeggio con tacchi a rocchetto con cosciente disinvoltura alle 3 del mattino

- e pianto chiodi per appendere quadri generalmente dopo le 11 di sera

- (e anche tasselli, se capita)

- ho dato almeno 4 feste a tema caraibico con percussionisti dal vivo (feste molto ben riuscite e particolarmente lunghe)

- e infine sì: approfitto nottetempo dell’oscurità per sbattere la tovaglia sui panni stesi di quella di sotto. Non spesso, ma abbastanza spesso perché se ne accorga.

Sono un mostro. Lo so.

mercoledì 8 settembre 2010

Chiacchiere a letto

[chiacchiere a letto, dopo l'amore]

Quindi alla fine, fra tutti i tuoi amici, il single resti sempre tu

Io? No, io no

Come no?

Ho una ragazza da quasi tre anni

E quando pensavi di dirmelo?

Non me l'hai mai chiesto


giovedì 2 settembre 2010

Ti è piaciuto?

Eccolo qui, uno di quei post pruriginosi che alzano l’audience: stavolta si parla di sesso. In particolare mi piacerebbe approfondire con voi un argomento di interesse popolare e rendere la pagina di oggi un sereno spazio di confronto sulle nostre paure. Su, diciamolo: tutti ne abbiamo. Mi riferisco ai timori della prima volta. Non la prima volta in assoluto, lì più che di timori si parla di incoscienti terrori, incubi animati da lussurie ancora inespresse e goffe preoccupate malizie. No no, qui ora si parla della prima volta con un amante nuovo. Quando sei lì che non vedi l’ora che i vostri corpi nudi si incontrino nell’amplesso, ma allo stesso tempo fai un catalogo ragionato di tutte le cose che potrebbero andare storte. Lo so che qui siamo tutti degli amanti straordinari: non abbiamo nessuna paura di mostrarci nudi, posiamo con competenza le labbra in luoghi innominati, lasciamo avventurare con agio la lingua altrui nei nostri angoli segreti. So che siamo tutti esperti, degli specialisti della determinazione sessuale: una determinazione sempre spendibile, pronta all’uso e soprattutto mai soggetta a imbarazzanti fallimenti fisiologici. So tutto. Però, per un attimo, facciamo finta che no, che tutta questa sicurezza non ce l’abbiamo, che talvolta le nostre solide certezze fisiche si brinino al gelo dell’ansia da prestazione. Per finta, d’accordo. Immaginiamo per finta di condividere qui le domande che ci attraversano il cervello nel momento stesso in cui si chiude la porta, il desiderio ci invade, i baci ci sciolgono e le mani diventano insolenti. Siamo lì preda dei sensi e, per ipotesi, per una frazione di secondo, la mente è attraversata dal pensiero razionale: ce la farò? Oppure non un attimo prima, magari succede un attimo dopo: com’è andata? Avrà finto? Che ne pensa della mia nudità? E del mio sapore? Ho toccato bene? Avrò morso al punto giusto?

Ti è piaciuto non si chiede mai ad alta voce, questo lo sappiamo. Ma il punto alla fine rimane questo: insomma, che ne pensa?